Manifestazioni artistiche nella Congregazione Verginiana tra Seicento e Settecento
[frame linking=”new_window” align=”left” type=”classic-brown”][/frame]Il contesto storico
Il titolo della Mostra ci introduce all’interno di un percorso storico-culturale che intende mettere in luce uno degli aspetti, finora poco considerato, che è quello dell’analisi della produzione artistica nell’ambito della Congregazione Verginiana tra Seicento e Settecento. Ma per comprendere appieno il senso di tale percorso deve essere innanzitutto chiaro il concetto di Congregazione Verginiana, a cominciare dal suo fondatore, San Guglielmo da Vercelli il quale, nel lontano XII secolo, dopo l’ edificazione di Montevergine, iniziò la sua opera di apostolato tra le genti e i borghi dell’Italia meridionale, determinando la nascita di nuovi monasteri, tutti organizzati secondo la Regola di San Benedetto e dipendenti da Montevergine. La maggior parte di essi erano ubicati nei territori compresi tra Irpinia e Sannio, ma ne sorsero ulteriori anche nelle attuali province di Caserta, Napoli e Salerno e nelle regioni limitrofe quali Puglia e Basilicata, spingendosi fino in Sicilia. Prende corpo così una grande famiglia monastica, conosciuta come Congregazione Verginiana, con un abate generale residente a Montevergine, posto al governo di tutte le case dipendenti. Era l’applicazione al monastero dei concetti feudali, ancora vivi nell’Italia meridionale anche nei secoli successivi, quando la Congregazione finì prima sotto la commenda di cinque cardinali, dal 1430 al 1515 e poi sotto l’amministrazione della Casa dell’Annunziata di Napoli (1515 – 1588).
Fu solo a partire dal 27 agosto del 1588, con bolla Dudum felicis recordationis, che papa Sisto V, già vescovo di S. Agata dei Goti, liberava Montevergine dalla dipendenza della Casa dell’Annunziata di Napoli, favorendo in tal modo la creazione delle basi per una ripresa morale ed economica della Congregazione. Ma un serio progetto di tipo strutturale e artistico ancora non poteva essere attuato senza un riassetto interno in grado di configurarsi nell’ondata di rinnovata spiritualità e riorganizzazione della Riforma tridentina. A tal proposito furono di fondamentale importanza la presenza a Montevergine e nelle case dipendenti, di P. Girolamo Perugino, monaco camaldolese di Monte Corona e due anni più tardi dei padri Bernardino d’Aversa e San Giovanni Leonardi, inviati da papa Clemente VIII. Fu soprattutto il Leonardi, nel ruolo di commissario pontificio, dopo aver visitato tutti e cinquantanove monasteri della congregazione, e aver visto che i piccoli monasteri comportavano un notevole dispendio di risorse economiche e al contempo non permettevano, causa l’esiguità dei monaci presenti, la piena attuazione della vita monastica, e dopo aver osservato di persona i disordini e i bisogni, a determinare la soppressione di molti di essi, che ebbe per effetto il ripristino dell’osservanza regolare e della disciplina monastica.
Questo aspetto determinò il passaggio da una fase non particolarmente florida di produzione letteraria ad una di grande splendore; l’antica tendenza di custodire la cultura storica e religiosa attraverso lo scriptorium lasciò il passo ad una produzione letteraria nuova, favorita tra l’altro dai dettami conciliari, seppur ristretta ad una ben identificabile élite di monaci e abati, in grado di abbracciare i vari campi della letteratura, della filosofia, della religione e della storia. In particolare già a partire dalla fine del Cinquecento vi furono diverse trattazioni di storia verginiana, che culminarono nel 1649 con l’imponente “Croniche di Montevergine” di Gian Giacomo Giordano, opera di vasta erudizione ma con rielaborazioni personali alquanto discutibili. Tuttavia il testo è stato di importanza straordinaria per la storia verginiana e fonte d’ispirazione artistica, come vedremo in seguito. Proprio il legame tra produzione artistica e produzione letteraria è molto stretto dal momento che la riscoperta della storia e delle tradizioni legate alla cultura verginiana saranno in grado di influenzare e indirizzare un particolare tipo di produzione artistica ed iconografia, un tempo legata alle famiglie proprietarie di cappelle officiate dai monaci, e in seguito fautori di importanti committenze che vedrà il suo massimo pronunciamento nel Settecento, grazie ad importanti personalità nel campo artistico, tra le quali spicca il nome di Domenico Antonio Vaccaro. Di pari passo la produzione letteraria, portata ad altissimi livelli da personaggi quali Angelo M. Mancini, Severino Pironti e Matteo Jacuzio. La particolare sensibilità di quest’ultimo, permise, tra l’altro, la valorizzazione delle opere artistiche con il recupero di una serie di reperti, andando a costituire, già nella seconda metà del XVIII secolo, una sorta di primitivo museo dell’abbazia.
La Mostra
Il percorso espositivo, che si articola all’interno del Museo Abbaziale di Montevergine, ed in alcune sale ricavate ex-novo per l’occasione, propone al visitatore un itinerario nel quale sono raccolte tutta una serie di testimonianze artistiche realizzate nell’ambito della Congregazione Verginiana tra XVII e XVIII secolo.
Il Seicento rappresentò per Montevergine e per tutti i monasteri dipendenti il periodo della rinascita, di ripresa culturale in grado di determinare una intensa stagione di fioritura artistica, culminata con la copiosa e straordinaria produzione settecentesca.
L’intento dell’importante iniziativa culturale è quello di determinare e di inquadrare per la prima volta l’aspetto legato alla committenza e alla produzione delle arti nell’ambito della Congregazione attraverso opere provenienti dalla Casa Madre (Abbazia di Montevergine e Palazzo Abbaziale di Loreto) e da alcuni di quei monasteri presenti in contesti quali Napoli, Marigliano, Penta di Fisciano, Goleto a S. Angelo dei Lombardi, Mercogliano, Avellino e Capua quasi tutti oggetto nel 1807 delle soppressioni delle corporazioni religiose determinate dal governo francese.
Se le platee ci forniscono un’interessante testimonianza della struttura e dell’organizzazione dei singoli monasteri, gli inventari d’archivio costituiscono un validissimo strumento nella determinazione di quegli arredi sacri, paramenti ed argenti, pregiatissimi esempi di ambito napoletano e siciliano, che in questo contesto vengono esposti in mostra. Ancora, impreziosiscono il percorso le opere pittoriche dei più importanti protagonisti della pittura seicentesca napoletana (tra i quali Battistello Caracciolo, Andrea Vaccaro, Mattia Preti, Guido Reni, Luca Giordano dei primi tempi) riferibili in parte alle esperienze del naturalismo caravaggesco e del luminismo settecentesco (tra i quali Francesco Solimena, Domenico Antonio Vaccaro, Michele Ricciardi, Paolo De Majo). Di straordinario interesse sono le sculture lignee policrome che hanno per soggetto l’Immacolata e San Guglielmo, che figura in più di un’occasione anche nelle rappresentazioni ad olio.
Eccellenti esempi di commessi marmorei sono il piano da tavolo di Cosimo Fanzago ed il sarcofago di San Guglielmo da Vercelli, fondatore di Montevergine, ricomposto nella sua integrità per la prima volta in occasione della presente esposizione.